uno zibaldone di alterità culturali


Un elefante nella stanza. Le istituzioni museali si appropriano di modelli subculturali

di DFN




Il 24 agosto 2022 all’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM a Praga è stata approvata l’ultima definizione di museo, alla presenza di 126 rappresentanti dei Comitati nazionali di tutti i continenti del mondo:

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale.

Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.

Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione della comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze.


Invero, se si analizza attentamente il testo – esito di un lavoro condotto da un team formato da esperti museologi, storici dell’arte, antropologi e istituito su delega da International Council Of Museum –, è possibile distinguerne contenuti pedissequi e in ritardo di quasi trent’anni rispetto ai movimenti attivistici e artistici che hanno strepitato la necessità di preservare valori dell’umanesimo all’alba del nuovo millennio. Quel moto globale di resilienza in antitesi all’egemone campo del sapere nelle società informatizzate in cui la condizione dell’uomo postmoderna sembrava essere fatalmente destinata. Una moltitudine generazionale, la prima così altamente specializzata e modernamente liquida, che ha capito l’importanza di servirsi del proprio corpo per manifestare uniti il bisogno di dar vita a un organismo alternativo alla norma. Una struttura relazionale ch’è essa stessa un mito, una narrazione di particolari gesta compiute da loro medesimi, come entità genderfluid (ex dei, eroi e mostri), offrendo una o più spiegazioni di fenomeni naturali, legittimando pratiche proprie o istituzioni sociali. Dagli albori di quei rituali collettivi scaturiscono iper-luoghi lussaultiani come collettori seriali situati di volta in volta, che si muovono impalpabilmente nello spazio. Un rizomatico presidio etico, permanente e di stampo fantasmagorico vocato al dono di azioni performative allo scopo di una consapevolezza diffusa e orizzontale su temi quali quelli contrari ad una politica dello sfruttamento economico e culturale a scapito delle fasce più deboli della società, in primis. La moltiplicazione di assembramenti di media o lunga durata nello spazio pubblico o i simboli spontanei e divergenti come poesie sciolte che campeggiano transitoriamente sulle barriere architettoniche delle città occidentali, sono state e sono le gesta non destituite di un’uniforme volontà di rottura con l’ordine costituito. Celebrazioni e simulacri che, con la loro carica eversiva, collegiale e incognita, anticipando il principio di agency di Judith Butler, “rinviano a una nozione impersonale di azione che non viene quindi associata all'esistenza di un soggetto agente o di una soggettività individuale”. Dalle origini, esse, sono la materializzazione di concetti attivi, come metafora reificata di ideali indipendenti basati anche su ricerche e tematiche approfondite di autori internazionali, come quelle del filosofo e accademico Toni Negri, sulle contraddizioni dei nuovi programmi commerciali e identitari globali. Un tumulto di centinaia di migliaia di ragazzi, provenienti da tutto il mondo, sensibili all’altro, in termini di responsabilità reciproca. Necessariamente consapevoli che lo scambio, il confronto, l’altro in linea di principio, precede il raccoglier-si/se, è un fatto costitutivo individuale; sistema attuativo della lezione di Emmanuel Lèvinas. Una sensibilità condivisa a prescindere dalle singole esperienze e che assurge, ancora oggi (più importante che mai), a contenuto di una rinnovata genesi di collettivi che si fanno carico delle storie di tutti, espressamente o implicitamente. Narrazioni che in avvio furono interpretate naturalmente nei più svariati modi, tanti quanti i partecipanti ai presidi, all’opposto dell’omologazione. Resoconti rappresentati dall’espressione dei corpi degli svariati individui che li hanno esperiti e portati nello spazio pubblico fino a quell’istante, per sommarli a quelli degli altri, come gocce di una marea. Analogamente a un retaggio intangibile, le singolarità furono sbandierate in modo eterogeneo da centinaia di gruppi d’organizzazioni non profit per agire di concerto, creando una rivolta semantica evenemenziale.
Una forma di conservazione delle infinite diversità del genere umano come rappresentanza imprescindibile di un passato di conoscenze su cui basare un futuro di progresso. Tematica che per la prima volta fu contemporaneamente attuata profittando degli strumenti di comunicazione neoliberisti, sabotandoli de facto: collezione di racconti personali che, parallelamente alle manifestazioni urbane, ha aperto una direzione nel nascente uso popolare del web, occupando, per scopi sociali e artistici, un territorio virtuale ancora tutto da mappare. Si sviluppò così il costume di usare strumenti utili alla diffusione dei più svariati contenuti peculiari su template di piattaforme online, da loro usate più come zibaldoni di un’eredità incorporea delle miriadi istanze soggettive; il quale uso parve subitamente mettere in pratica lo slogan di Carol Hanisch: “il personale è politico”. Con un fare opposto alle attuali prestazioni monetizzabili algoritmicamente degli utenti 3.0, gli alterglobal usarono – affastellando precocemente nei loro propri blog – immagini jpg, suoni mp3, frasi html, per un’aggiuntiva propaganda delle tematiche inizialmente diffuse mediante eventi di piazza. Insieme alla volontà di sparpagliare la loro portante “entità innocente” – ora personalità e ora comunità –, di cui solo in seguito ne scriverà il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk; gli attivisti- (studenti, lavoratori, artisti, musicisti, ecc.) offrirono al mondo modelli reali e virtuali alternativi e in contrapposizione al fenomeno di unificazione dei mercati mondiali e alle orripilanti conseguenze sociali.
Tra questi giovani informati e coinvolti ad esacerbare le più libertarie idee come un’unica grande simbologia volta al rifiuto delle logiche multinazionali tout court, è fondamentale indagare le messe in atto degli attivisti-artisti – che prontamente sono risultate essere una complessa stratificazione di significati, in cui, a tutt’ora, sono intrecciati molteplici questioni e differenti chiavi interpretative di grande interesse e tornaconto – per indugiare sull’analisi della recente dicitura di museo voluta da ICOM. Ma anche, e in modo straordinariamente anticipatorio rispetto all’inclusività delle istituzioni, in rapporto all’establishment dell’arte del presente, quale programma del tutto analogo ad una politica di globalizzazione ma in campo intellettuale.
Basti pensare all’esportazione del modello della Solomon R. Guggenheim Foundation che, da decenni, lavora alla riproduzione della sua gestione museale in Europa in Medio Oriente (Venezia dal 1980, Bilbao dal 1997 e Abu Dhabi dal 2026) o all’espansione di Art Basel, il più importante appuntamento fieristico internazionale del sistema dell’arte moderna e contemporanea.
Manifestazione nata in Svizzera nel 1970, ad oggi vanta prestigiose sedi in città nevralgiche (Miami dal 2002, Hong Kong dal 2013 e Parigi dal 2022) per la commercializzazione planetaria di manufatti artistici. Un processo sdoganato dalla XXXII Biennale di Venezia curata da Gian Alberto Dell’Acqua dal titolo “Arte oggi nei Musei”, ricordata più per lo spettacolare sbarco della Pop Art in laguna che per le conseguenze del livellamento culturale su scala globale. Antitetici agli obiettivi di mondializzazione istituzionale e dell’ineluttabile destino commemorativo dell’opera d’arte, gli artisti nati a cavallo del nuovo millennio dai topoi extra-accademici e rivoluzionari, hanno sviluppato una necessaria dimensione autobiografica – punto primario di un’opportuna artisticità –, in stretto contatto con la realtà della città, in un’ ottica che è avvertita in primo luogo come civile; nel contempo, l’impegno è concepito come saldamente unito all’ambiente in cui introdotto, a partire da un riesame del fattore d’evento (Badiou) in chiave doviziosamente performativo e volto a generare una relazione con la gente attraverso una dinamizzazione spaziale. Di moto perpendicolare all’attualità e opposto rispetto all’attività verticale di artisti che, dalle avanguardie a oggi, affascinati dai gruppi di minoranza, hanno tratto l’agognata ispirazione da civiltà non legittimate loro, i no-global-artist non riconosco l’appartenenza delle proprie gesta politiche, sociali e poetiche accomunate a quelle di autori come Lycia Clark, Alison Knowles, George Maciunas, Michelangelo Pistoletto o Rirkrit Tiravanija, tra gl’altri. Perché, diversamente dai ravvisati nomi dell’arte, essi, venuti alla luce sotto il segno di un’alternativa ideologica, si muovono indipendentemente e dalle maglie della popolazione, sono apolidi e perciò de-istituzionalizzati, sovente il loro atto è anonimo e sinfonico, operano per un movimento all’unisono al fine di universalizzare l’inclusione delle differenze culturali in nuce alla sostenibilità degli intenti. Il risultato del loro agire è ubiquo dagli esordi, ma rifugge il presenzialismo. Il carattere di quest’intenti ricusa a gran voce il “purovisibilismo” (Fiedler), incarnando in modo irreprensibile il dizionario di Georges Bataille relativo all’informe e al destrutturante.
Composta da un linguaggio polisemico e, per natura, aperto al movimento dialettico, l’opera d’arte è perciò una complessa struttura abilitata all’adesione della cittadinanza e senza interposti mezzi: un assetto che mira all’emozionale come obiettivo – diplomatico ed estetico – di partenza e d’arrivo.
Un’arte da (e per) la base che scatena uno scompaginamento tassinomico e che permette alle moltitudini di implementare esperienze riflessive e formative volte al raggiungimento di un miglioramento esistenziale e, contemporaneamente, smascherando, attraverso l’approccio integrativo che le è proprio, la marginalizzazione culturale in numerosi contesti sociali.
Ad oggi, che le finalità di queste virtù sono perseverate in tutto il mondo altresì attraverso strumenti d’impegno collettivo o di propagazione, come il riunirsi in assemblee o associazioni senza scopo di lucro, svolgere lezioni orizzontali nelle scuole e nelle università, allestire festival e manifestazioni ricreative, ma anche mediante una fitta attività speculativa su libri e progetti editoriali distribuiti nelle principali piattaforme internazionali e in rete o declinando il suddetto lavoro in contesti istituzionali per detonare in seno il già logoro sistema culturale occidentale; è divenuto critico ignorare l’operato coraggioso di un comparto antesignano di quei valori che il museo odierno vorrebbe attribuirsi pretestuosamente, parimenti a convivere con un elefante nella stanza.